Quando un ragazzo è vittima di bullismo tende a chiudersi in se stesso, a provare un forte senso di vergogna e di solitudine che gli impedisce di chiedere aiuto, di confidarsi con la propria famiglia. Quali sono i segnali più comuni che dovrebbero far scattare un campanello d’allarme nei genitori? E quali gli interventi da mettere in atto per  prevenire il fenomeno e garantire un’adolescenza più serena anche ai giovani più timidi e insicuri? Ne abbiamo parlato con Monica Bonavoglia, psicologa-psicoterapeuta di Taranto.

Cosa può spingere un ragazzo o una ragazza a compiere atti di bullismo?

I motivi che spingono un/una ragazzo/a a compiere atti di prepotenza e violenza possono essere diversi, il fenomeno del bullismo è estremamente complesso e ogni singola situazione va vista nella sua specificità. In generale si può affermare che le cause del comportamento violento da parte dei più giovani possono essere rintracciate in diversi ambiti, da quello familiare a quello individuale, passando da quello socio-culturale. Il contesto familiare dei/delle bulli/e è stato largamente preso in considerazione da diverse prospettive di studio. Nella maggior parte dei casi questi ragazzi provengono da sistemi familiari caratterizzati da relazioni difficili e disfunzionali, da stili educativi coercitivi e violenti e da modalità comunicative ostili e aggressive. Modelli comportamentali, questi, che vengono interiorizzati e utilizzati anche nelle relazioni al di fuori della famiglia. Questi ragazzi, però, sono figli anche di un contesto culturale più ampio, in cui vi è l’esaltazione della forza fisica, dell’aggressività, del potere, in cui i mass media veicolano continuamente immagini di uomini e donne di successo, invulnerabili, spietati e in cui la sopraffazione, la prepotenza, la furbizia e la competizione sono considerati valori. È facile che in un sistema culturale di questo tipo alcuni tra i soggetti più giovani considerino la prevaricazione dei più deboli un comportamento da “vincenti”.

Quali sono le conseguenze che questi comportamenti possono produrre nelle vittime?

Le conseguenze si possono riscontrare sia sul piano fisico che su quello psicologico. Alcuni soffrono continuamente di emicrania, mal di pancia, insonnia, ansia e depressione. Altri sono colpiti da stress postraumatico. Nella maggior parte dei casi questi sintomi sono associati a un atteggiamento evitante nei confronti della scuola. Spesso, infatti, le vittime cercano di arrivare tardi a scuola, di saltare ore di lezione, di cambiare istituto, fino ad arrivare in casi estremi all’abbandono del percorso scolastico.  Le conseguenze più gravi del fenomeno, sia a breve che a lungo termine, sono soprattutto sul piano psicologico. Le continue prevaricazioni possono minare una già traballante autostima e  portare a una significativa svalutazione di sé e delle proprie capacità. In alcuni casi , soprattutto quando le prevaricazioni si protraggono nel tempo, si può avere l’insorgenza di veri e propri disturbi psicologici, come ansia e depressione. Ma la conseguenza più grave, ed episodi di cronaca anche abbastanza recenti lo confermano, è trovare nel suicidio una soluzione al problema.

Una persona che ha subito il bullismo riesce mai a superarlo davvero?

Certo, il superamento del problema è possibile, soprattutto se la persona vittima di bullismo viene sostenuta adeguatamente e tempestivamente da figure specializzate che l’aiutino ad affrontare un percorso volto a incrementare la sua autostima, a sviluppare abilità e competenze positive, a stabilire relazioni sane e nutrienti e a comunicare in maniera efficace. Come ho già spiegato, chi rimane a lungo nel ruolo di vittima si convince di non valere nulla, di essere incapace, si sente perseguitato. Questo può portare a forme di depressione anche molto gravi, caratterizzate da condotte autolesionistiche con conseguenze estreme come il suicidio. Per questo è importante intervenire il prima possibile. Una volta emerso il problema, se il contesto familiare e quello scolastico collaborano tra loro per stabilire una strategia d’azione comune e se sono connotati da un clima volto alla risoluzione del problema, ci sono già buone probabilità di restituire alla vittima la sua dignità di persona.  È importante, però, che venga coinvolta una figura specializzata, medico o psicologo, che segua il ragazzo in un percorso che porti a un cambiamento stabile e duraturo.

Quali sono i segnali che possono indurre un genitore ad accorgersi che il proprio figlio è vittima di bullismo?

Ci sono segnali che possono essere considerati campanelli d’allarme, ma che vanno comunque verificati. I più evidenti sono: segni sul corpo come ferite, graffi e lividi; abiti e/o materiale scolastico rotti o rovinati; l’insorgenza di alcuni sintomi come emicrania, mal di pancia, vomito, insonnia; atteggiamento evitante nei confronti della scuola; vita relazionale povera; irritabilità, volubilità, ansia, aggressività ingiustificata e/o tendenza a isolarsi.

Una volta accertata l’esistenza del fenomeno, come intervenire?

La prima cosa che dovrebbe fare un genitore il cui figlio è vittima – o autore – di atti di bullismo, è cercare un confronto con la scuola. Allo stesso modo, se un insegnante è testimone di atti di bullismo, dovrebbe tempestivamente informare i genitori, sia del bullo che della vittima. Insomma, è importante che venga trovata una strategia comune. Resto dell’avviso che il modo migliore per combattere il bullismo è la prevenzione, alla base della quale c’è la promozione di un clima di condivisione e di rispetto, che non sia terreno fertile per comportamenti violenti. La scuola, insieme alla famiglia, è l’agenzia educativa più importante e in virtù di ciò ha la responsabilità  di educare i più giovani al rispetto delle diversità, ad affrontare in modo sano il conflitto e a sostenere la loro autostima.

 

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